Il tema della formazione è fra quelli che maggiormente mi appassionano e, in tutta franchezza, mi fanno molto arrabbiare! Perché su questo argomento si dibatte tantissimo, nelle sedi più disparate, si sprecano fiumi d’inchiostro, ma alla fine pochi ricordano che bisogna tornare ai “fondamentali”: vale a dire al rapporto che si instaura fra il giovane e l’azienda, soprattutto considerare come l’organizzazione delle imprese accoglie oggi i giovani che entrano in azienda. Nessuno, io per primo, vuole togliere nulla al ruolo di scuole e università, che fanno il loro lavoro e nella maggioranza dei casi lo fanno bene, con un impegno a volte quasi commovente in una nazione socialmente e strutturalmente difficile come l’Italia. Semmai la critica che avanzo al sistema scolastico è quello di avere in questi anni trascurato l’educazione generale della persona, la sua “cultura” nel senso più ampio del termine. Elemento che comporta, in primis, di acquisire competenze per poter dialogare con serenità e autorevolezza con gli altri, nel rispetto di sé stessi e di tutti coloro con i quali si entra in relazione. Perché, non lo dimentichiamo, il lavoro è fatto prima di tutto di relazioni. Da subito: dal primo giorno che si entra in azienda. La capacità di ascolto e di fare tesoro rapidamente della trasmissione delle esperienze è un compito educativo primario della scuola e delle università. Così come sollecitare i giovani ad esprimersi ed essere soggetti attivi e non passivi. In questi elementi si collocano anche, a mio parere, i rischi della tecnocrazia scolastica, del cedere oggi buona parte dell’insegnamento all’online. Con quello che abbiamo vissuto e stiamo ancora vivendo, la tecnologia e la digitalizzazione in aula è un vantaggio e una necessità. Ma ricordiamoci che, usciti dalle emergenze, scuole e università educano, e sottolineo educano, soprattutto con l’esempio diretto degli insegnanti nei confronti dei loro allievi. Chiaramente questo richiede passione, motivazione e programmi adeguati, dove la componente umana si integra all’istruzione. Ne costituisce una parte fondamentale e imprescindibile. Insegnanti che sicuramente, se così svolgono il loro lavoro, andrebbero gratificati di più e meglio. Anche sulla base della loro volontà di aggiornarsi e qualificarsi senza soste. E’ un tema, questo, sul quale la scuola deve e può fare di più. Abbiamo dovuto aspettare una terribile pandemia come il Covid per accorgerci che a scuola si deve fare “educazione” e non solo “istruzione”?! Ora si torna anche all’educazione civica. Per fortuna! Ma come mai era stata abbandonata? Perché la questione è esattamente la stessa anche trasferendoci in azienda: i giovani che arrivano nel mondo del lavoro vengono troppo spesso accolti come dei “semi analfabeti”, oppure gettati nella mischia in mansioni che sono dequalificate per il curriculum che hanno e per le loro comprensibili aspettative. A ciò si aggiunge che altrettanto frequentemente vengono lasciati soli, relegandoli ad esecutori dei compiti più banali e ripetitivi. Anche qui si apre il tema dell’uso responsabile della tecnologia: i computer, i CAD sono strumenti formidabili se in mano a persone che pensano e ragionano, non a dei robot. E’ chiaro che se un giovane arriva in azienda e gli dicono “fai click sul mouse 28 volte per raggiungere l’obiettivo” (e lui lo fa, ossessivamente ed anche perché timoroso di parlare e portare il suo contributo migliorativo), ma poi questo obiettivo può essere raggiunto in soli tre click, qualcosa non funziona.

E’ l’organizzazione aziendale che crea ottimi giovani o pessimi tecnocrati. Motivi perché ciò avviene? Molteplici: si va da una mentalità aziendale del “Non mi posso ancora fidare…” ad un tipico nonnismo becero, quello del dominio dei “veci”, che impongono le loro regole perché sono essi stessi fossilizzati ai ruoli e, purtroppo assai spesso, anche a dei privilegi. Non voglio assolutamente generalizzare, ma dobbiamo riconoscere che in troppe aziende lo scenario è ancora questo. E allora quando si parla di formazione, soprattutto fra noi imprenditori e quando ci confrontiamo con le istituzioni scolastico-universitarie, poniamo con franchezza questo tema: voi scuole formateci delle persone prima di tutto capaci “umanamente”, responsabili e giustamente critiche e propositive nelle loro competenze professionali, poi noi aziende mettiamo a disposizione il terreno, l’humus affinché questi germogli diano ottimi frutti. Sono convinto, e ciò che dico ora lo applico concretamente nella mia azienda, che la posizione sottovalutata dei giovani deve essere rivista alla luce delle trasformazioni epocali che stiamo vivendo. Nelle aziende evolute esistono le responsabilità piuttosto che i ruoli standardizzati. Esistono modelli organizzativi che privilegiano la rotazione di tali responsabilità in ragione degli obiettivi. Troppo faticoso e complesso? Basta cominciare a provare per capire che non solo si può fare, ma è un vantaggio sia per l’azienda che per il lavoratore. Ogni persona dovrebbe possedere competenze specifiche, naturalmente, ma essere partecipe del know how comune, patrimonio assoluto dell’azienda. Anzi identità dell’azienda stessa e formula competitiva sul mercato. Ecco perché ritengo corretto che il giovane che entra in azienda sperimenti le competenze che formano l’azienda nello sviluppo della sua filiera. Il tecnico impari ciò che il montatore conosce, e allo stesso tempo chi costruisce le macchine e i prodotti sappia perché sta svolgendo quel ruolo e cosa serve il suo lavoro. Il valore del suo lavoro. Io non ho timore a dire che la crescita personale e professionale deve obbligatoriamente partire dal basso. Con umiltà ma anche con energia e la voglia di esprimersi, di parlare. E torniamo al punto di partenza: scuole e università, inviateci e proponeteci giovani che sanno esprimere le loro idee e la loro personalità! Come ho avuto modo di sottolineare diverse volte in questi mesi così complessi, il mondo cambia a grande velocità e l’evoluzione tecnologica galoppa, la lezione più generale da trarre da questa emergenza è ridisegnare costantemente la fabbrica, rivedere i processi di produzione e i modelli di business, ripensarsi. Una domanda che mi sono posto più volte in questi mesi è stata: perché non abbiamo pensato prima ad usare le conference call, le video-conferenze? Aumentano l’efficienza, riducono i tempi, la tecnologia già c’era. Oltre allo smart working, che comunque va attentamente preparato e gestito, il digitale offre molte potenzialità per affrontare l’emergenza: possiamo proteggere la salute dei dipendenti, dei clienti, dei fornitori. Abbiamo bisogno di idee giovani e di partecipazione dei giovani a questi progetti. Anche per questi motivi di attualità la formazione non è un tema accessorio all’organizzazione delle imprese: è fra i cardini delle aziende e del loro successo. L’importante è che la formazione non sia solo fine a se stessa, ma venga anche inquadrata all’interno del piano di trasformazione o di mantenimento che l’azienda decide di implementare. L’imprenditore dovrebbe porre la formazione come costo/bene intangibile essenziale. Non si vede, ma c’è, eccome! Sempre su questi temi e per l’importanza  che rivestono, ora più che mai, abbiamo costruito buona parte di questo numero di Smart News. Lanciando un messaggio alle aziende consorziate ad Intellimech, e non solo a quelle.