Nel recente incontro tra Papa Francesco e oltre 6000 imprenditori italiani, riuniti in occasione dell’annuale assemblea che quest’anno si è conclusa lo scorso 12 settembre straordinariamente in Vaticano, il Pontefice ha sottolineato l’importanza della condivisione di progetti, programmi e aspettative, fra imprenditori stessi e fra datori di lavoro e propri dipendenti e collaboratori. Il Papa ha parlato di “cammini condivisi” anche e soprattutto per la salvaguardia del pianeta. Il bene comune dell’ambiente, prezioso e delicatissimo, richiede etica e consapevolezza, vale a dire la capacità di costruire un percorso che possa tenere assieme lo sviluppo e la responsabilità, la crescita delle imprese e il bene comune. Difesa ambientale e utilizzo sempre più responsabile dell’energia: motivi formidabili per favorire la condivisione. Eppure, a ben guardare, per lungo, troppo tempo non è stato così. Si è guardato alle fonti energetiche quasi come se fossero inesauribili. Inoltre non si è fatto abbastanza, a mio parere, per portare nelle aziende, nelle fabbriche, una solida cultura del risparmio energetico, basata sulle fonti energetiche alle quali attingere e, soprattutto su come costruire politiche energetiche, che avessero entrambi gli elementi in sinergia: salvaguardia ambientale e ottimizzazione dei costi. Che il problema energetico sia diventato il principale del momento, quasi ossessivo a livello mediatico, è sotto gli occhi di tutti. Ritengo però che, soprattutto per chi fa impresa, bisogna ancora una volta affrontare il tema con lucidità e con dati oggettivi.
Il problema della lievitazione dei costi delle bollette energetiche, negli ultimi mesi diventato schizofrenico, costituisce sicuramente una minaccia gravissima, talmente pericolosa da poter mettere in ginocchio l’intero sistema imprenditoriale italiano, oltre a creare preoccupazione e sofferenze alle famiglie. Ma attenzione: stiamo parlando in gran parte di manovre speculative internazionali che devono trovare una risposta e una soluzione sempre a livello internazionale, europeo prima di tutto. Non possiamo però affidare le nostre imprese solo ai venti minacciosi della speculazione o, peggio ancora, a quelli di guerra. Bisogna essere reattivi e resilienti prima di tutto dentro le nostre aziende. Ricordiamoci che l’attuale crisi energetica non è scoppiata con la guerra in Ucraina; era da più di un anno che i costi energetici crescevano sempre di più. La guerra ha aggravato una situazione già piuttosto incancrenita. Cosa abbiamo fatto nei mesi precedenti al febbraio di quest’anno per fermare questa “malattia degenerativa”? A mio giudizio, non abbastanza.
La questione è: quali scelte collettive prendere e quali scelte individuali adottare. Sulle prime sono le istituzioni e la politica che devono intervenire; ma sulle seconde è compito di ogni impresa conoscere meglio il problema, individuare come è possibile intervenire e, soprattutto, iniziare a fare qualcosa di concreto e di efficace. Con questo non voglio dire che le imprese in questi ultimi anni siano state passive rispetto ai temi ambientali ed energetici. Anche sulla spinta di specifiche sollecitazioni normative, la salvaguardia ambientale e il contenimento dei consumi sono argomenti da tempo in primo piano. Quello che voglio dire è che spesso i programmi sono stati frammentari e non rientranti in una visione generale ben organizzata. Usciva una norma: ci si adeguava. La ricerca proponeva una nuova tecnologia: la si adottava, a volte non senza difficoltà per le proprie filiere e per il proprio “sistema azienda”. Sono restati però aperti margini di miglioramento molto ampi, che ora generano qualche rimpianto quando… arriva la bolletta da pagare! Adesso che l’emergenza scuote gli animi si cerca di correre ai ripari. I focus di attenzione in fabbrica sono molti: prima di tutto controllare bene dove si collocano gli sprechi, che spesso riguardano gli impianti e la loro modalità di impiego. Su questo tema si pone anche la necessità di fare correttamente la manutenzione delle macchine. Pensiamo poi a certe incongruenze strutturali negli edifici tra area produzione e area logistica, che generano consumi eccessivi e sui quali si può intervenire. Sono solo due esempi, ma si potrebbe citarne molti altri. Sono convinto che anche su questi argomenti la condivisione del rapporto tra problema e possibili soluzioni sia importantissima.
Non è un caso che anche in Intellimech, nel nostro Consorzio, i temi dell’energia e del suo migliore utilizzo abbiano conquistato sempre più interesse, diventando un positivo motivo di confronto.
Ci stiamo chiedendo: come possiamo avere fabbriche in “Classe A” a livello energetico. È un parametro classificatorio che non esiste in realtà per l’industria, ma che ci piace adottare come metafora e come obiettivo auspicabile. Fabbriche dove la tecnologia sia amica dell’ambiente, soprattutto riducendo sprechi di risorse. Lavorando su questi temi ci stiamo accorgendo che in molti casi si dovrebbe “ridisegnare la fabbrica”, cambiando canoni obsoleti o anacronistici visti nell’ottica della transizione energetica. Un compito faticoso e oneroso? Certamente, ma con un grande vantaggio in più: la fabbrica di Classe A, ne sono sicuro, sarà anche un luogo di lavoro più bello e vivibile. Più gratificante. Apportando benessere per le persone oltre che per il pianeta. Insomma, un passo da fare. Se non ora, quando?!