“La scienza trova, l’industria applica, l’uomo si adegua”; questa era la frase che inaugurava l’Esposizione universale di Chicago nel 1933.
Dietro questa frase sembra ci sia un’arresa verso il potere della scienza. L’uomo si adegua, come se fosse l’uomo ad adeguarsi agli avanzamenti della tecnica e fosse un meccanismo del tutto naturale. Sappiamo però che i recenti sviluppi tecnologici degli ultimi dieci-quindici anni, dallo sviluppo di Internet alle più moderne tecnologie “4.0” hanno apparentemente rovesciato questo aspetto. L’uomo per sua natura è poco propenso ad adattarsi a ciò che non capisce, che non comprende.
Vi entra quindi un tema educativo: “la scienza trova” per la fame di conoscere, “l’industria applica” non per conoscere ma per risolvere soluzioni pratiche, ma chi insegna all’uomo come “comprendere e gestire la tecnologia”? La diatriba tra coloro che ritengono che la tecnologia toglierà posti di lavoro e coloro che al contrario sostengono che porterà un cambiamento ed incremento delle skills, è sempre più accesa. Un recente studio di Mckinsey dimostra come alcune tecnologie abbiano già raggiunto un livello di prestazione simile a quella dell’uomo (basti pensare alla navigazione, al riconoscimento di oggetti con pattern definiti piuttosto che la risoluzione di problemi di ottimizzazione e pianificazione). Secondo la ricerca “Humans Wanted: Robots need you” presentata da ManpowerGroup al World Economic Forum di Davos, nei prossimi due anni l’impatto dell’automazione industriale sui posti di lavoro non sarà sfavorevole, a patto che le competenze si rinnovino per affrontare la trasformazione digitale. La parola chiave sembra essere “rinnovarsi”; non tanto di adeguarsi alla tecnologia, ma di allineare le proprie competenze per poterla gestire al meglio. Ed in questo nuovo scenario diventano determinanti le “soft skills”, talvolta ancora più delle competenze specifiche. E più la tecnologia avanza, maggiori sono le sue prestazioni, maggiore diventa la criticità e la responsabilità dell’uomo per una sua corretta gestione.
Si passa quindi da un’intelligenza tecnica ad una intelligenza emotiva. Lo psicologo Daniel Goleman la definisce come la capacità di riconoscere i propri sentimenti e quelli degli altri e di saper gestire le emozioni in modo efficace, ed è considerata dal World Economic Forum tra le top 10 competenze entro il 2020. Da un lato quindi assistiamo ad un continuo connubio tra uomo e tecnologia, mentre dall’altra ci è richiesto una maggiore sensibilità e capacità comunicative; queste rappresenteranno le basi del nuovo Rinascimento Tecnologico.